SATANIK: L’isola dei mostri (1966)

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Copertina di Luigi Corteggi

Per il gaudio di tutti i bunkeristi-leninisti come il sottoscritto, la Mondadori ha finalmente dedicato a Satanik una ristampa di lusso in volumi rilegati (il terzo è in edicola in questi giorni) come quelle di Kriminal e Alan Ford. La novità rispetto alle riproposizioni precedenti è che questa volta non verranno presentate solo le storie attribuite al mitologico duo Magnus & Bunker ma anche quelle scritte dallo sceneggiatore milanese e disegnate da Giovanni Romanini , nonché le recenti riesumazioni una tantum affidate al solido pennello di Dario Perucca, che ormai, con la sua carriera ormai quasi trentennale al servizio del Gruppo TNT, ha strappato al Birago Balzano di Zora la palma di disegnatore italiano responsabile del maggior numero di numeri della stessa serie. L’unica brutta notizia è che, salvo sorprese, resterà fuori anche stavolta quella che è la sola avventura di Satanik disegnata da Magnus ma non scritta da Max Bunker: il numero 45 L’isola dei mostri.

La vicenda venne ricostruita nella posta del n. 292 di Alan Ford, in risposta a un lettore che aveva lamentato l’esclusione dell’albo dalla ristampa allora in corso in occasione del ventennale. Bunker spiegò che all’epoca Magnus aveva insistito perché gli venisse affidata una sceneggiatura horror piena di mostri, facendogli il nome di Howard Phillips Lovecraft. Bunker, ammessosi non ferratissimo in materia, aveva appena iniziato a documentarsi quando si vide proporre da un giovane alle prime armi qualcosa che sembrava proprio fare al caso di Raviola, il quale reagì sornione affermando che la trama aveva effettivamente un forte sapore lovecraftiano. Già, perché L’isola dei mostri è, in sostanza, un remake de La maschera di Innsmouth, uno dei racconti più celebri del ciclo di Cthulhu, con Satanik protagonista. Quando l’albo uscì, in redazione arrivarono diverse missive di lettori che denunciavano il plagio. Bunker convocò lo sceneggiatore che, “rosso come un peperone“, confessò di essersi “lasciato un po’ prendere la mano“. Il giovane era Erasmo Buzzacchi, che scrisse per la Corno anche alcune storie di Kriminal e che ritroveremo negli anni ’70 alle prese con le testate erotiche più disparate.

La rossa del diavolo, al solito in fuga dall’implacabile tenente Trent, si rifugia in una ridente località marittima. Va detto che l’ispirazione era dichiarata sin dal primo quadro.

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Satanik pernotta in un albergaccio sotto il falso nome di Helen Driscoll (altra citazione, questa volta di Richard Matheson) e la moglie del locandiere la mette subito in guardia a proposito di immondi rituali che si svolgerebbero su un’isola limitrofa.

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Annoiata dalle farneticazioni della signora, la nostra eroina va a farsi una passeggiata al porto, dove incontra un vecchio marinaio alcolizzato fiero possessore di un arcano amuleto rinvenuto sull’isola suddetta e capace dei sortilegi più imprevedibili, come far apparire dal nulla bottiglie di whisky (farebbe comodo, neh?). Satanik, che è una donna prosaica, avuta prova dei mirabolanti poteri dell’oggetto, ne uccide il momentaneo possessore e si reca sull’isola in preda a quella curiosità che, in ogni storia horror che si rispetti, è pessima consigliera, per trovarsi di fronte a una scena immonda.

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Catturata dai mostruosi officianti che, già che c’è, vogliono sacrificarla a Yog-Sothoth (IA! IA!), la donna riesce a debellarli con il potere dell’amuleto. Satanik torna a Innsmouth e, esaurita l’obbligatoria parentesi sexy con il sordido locandiere (che però, scopriremo, “ci sa fare“, e se lo dice lei…), ripara nella vicina “Dunwitch” (ahem) per sfuggire alle guardie . Tutto a un tratto, già che passava di lì, nella sua stanza irrompe tale mister Wizard.

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Insomma, il pendaglio consente di dominare i mostri e avere degli orridi ibridi rettiloidi al proprio servizio può pure far comodo, pensa Satanik, che liquida pure il signor Wizard e torna sull’isola con gli efficienti mezzi pubblici di Innsmouth (e qua scatta una scena che riprende l’incipit del racconto di Lovecraft, con tanto di conducente ibrido). Nel frattempo  viene braccata dalle creature, contro le quali i poteri dell’amuleto, che si affievoliscono quando l’ambito gadget è lontano per troppo tempo dall’isola, sono sempre meno efficaci. Come se le cose non stessero già andando a ramengo, Satanik non ha avuto cinque minuti per sottoporsi al necessario bagno di luce.

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Con il volto ormai ischeletrito, Satanik fugge dopo aver riposto l’amuleto al centro dell’altare per fermare gli esseri, i quali fanno comunque in tempo a massacrare i poliziotti che, intanto, l’avevano pedinata.

Un numero dal buon ritmo, divertente nonostante la sceneggiatura non proprio ben congegnata. Per dirne una, il personaggio di Mr. Wizard – che appare all’improvviso, muore dopo poche pagine e ha l’unica funzione di sciorinare lo spiegone di prammatica – poteva essere congegnato meglio. Però, se la pietra di paragone è il Max Bunker dell’epoca, non ha manco senso fare confronti.

L’isola dei mostri si merita comunque un posticino nella storia del fumetto nazionale per essere stato probabilmente il primo riferimento esplicito nella cultura popolare italiana ai racconti di Lovecraft, che nel 1966 non godeva un’oncia della, giustamente immensa, fortuna attuale. I mostri all’angolo della strada, la prima antologia italiana dedicata al solitario di Providence, a opera di Fruttero e Lucentini, era uscita proprio quell’anno.

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Bunker chiosò affermando che se un albo così fosse uscito allora, nel ’93, l’autore sarebbe stato lodato per lo spirito citazionistico, in una vaga frecciatina a Dylan Dog. Forse proprio per questo L’isola dei mostri è una lettura più godibile oggi di quanto potesse essere all’epoca, quando non c’era nessuna sottigliezza postmoderna a distinguere il citare dal copiare (Ciccio Russo).

Titoli di coda:

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